Poeta per diletto

Dal blog di Stefano Guglielmin, giunge un lucido e articolato contributo ad una questione che da tempo agita l’oceano della poesia in internet: è necessario tracciare una linea di demarcazione fra qualità e quantità delle scritture poetiche presenti nelle migliaia di situ-azioni create nella Rete. Già, ma come?

 

 

 

 (l’articolo integrale presentato sul blog di Guglielmin http://golfedombre.blogspot.com/, è linkato dal sito di Anterem, http://www.anteremedizioni.it/montano_newsletter_anno7_numero11_guglielmin)

Anche il blog di Francesco Marotta http://rebstein.wordpress.com/ in più interventi (ma si veda anche l’intervista di Sebastiano Aglieco su “Carte nel vento”: http://www.anteremedizioni.it/montano_newsletter_anno7_numero11_sebastiano_aglieco_francesco_marotta_1) rileva i sintomi di un’acutizzarsi della questione – non senza spiacevoli risvolti pratici, laddove il nostro amico blogger lamentava qualche tempo addietro lo splafonamento della sua posta elettronica a causa delle centinaia di richieste-segnalazioni-proposte-eccetera materializzate dalle pulsioni alla visibilità di una folla di poeti, poetanti e affini.

La questione è tanto più urgente, quanto più si avverte una crisi diffusa dei lit-blog, sia in termini di partecipazione, sia di senso. Urgente proprio per mantenere vive e trasformative quelle pratiche “oneste e lodevoli” di cui Guglielmin tratteggia la metodologia.

Non mi nascondo che sullo sfondo di questo mio contributo risuona, come un cupo riff, l’idea che sia donchisciottesco far nascere proprio adesso un nuovo blog come quello di PoesiaPresente. Ma tant’è.

Non me ne voglia a questo punto il lettore, se gli chiedo di rileggere anche il post inaugurale di questo blog, https://www.poesiapresente.it/blog/10-blog/28-silenzi-di-un-moto-a-luogo.html, dove tra le varie racconto la mia recente esperienza di navigatore.

Parto da me, perché sono l’archivio di dati che ho, pur con le cartelle a volte incartapecorite, più comodamente a portata di mano. Ecco qua: a soli due metri dalla tastiera c’è uno dei libri che, negli ultimi anni, più mi ha fatto sorridere e “capire”. È della grande Szymborska: Posta letteraria, ossia come diventare (o non diventare) scrittore, Scheiwiller, 2002. Raccoglie alcuni fra i più punzecchianti interventi che la Nobel polacca ha pubblicato negli anni Sessanta sul settimanale letterario di Cracovia «Życie Literackie», rispondendo alle centinaia, per non dire migliaia, di lettori che le spedivano propri testi per sottoporli al suo parere, largamente riconosciuto come autorevole. E scritti, si badi bene, in un’epoca in cui le riviste letterarie erano per eccellenza i luoghi dove assolvere a questi ingrati compiti.

Ho scoperto che non solo gli italiani sono un popolo di poeti, e più poeti che lettori, ma anche i polacchi. Così mi è nato il sospetto che forse anche tanti altri popoli… Dovunque è diffusa la scolarizzazione, probabilmente, fare il “poeta della domenica” è un virtuoso diletto; così come bearsi della rilettura dei propri sfoghi lirici minimizzando il beneficio che invece potrebbe derivare dall’abitudine a leggere quelli degli altri. Insomma, un proliferare globalizzato di tutte quelle pessime coazioni a ripetersi della scrittura che la Szymborska stigmatizzava con tagliente ironia – ma è sorta una nuova generazione di poeti polacchi più matura e creativa grazie alla sua infaticabile opera di potatura? Oppure chi ne ha guadagnato è stato solo  il settimanale di Cracovia, che ha visto crescere negli anni il numero di lettori/abbonati smaniosi di sottoporsi all’anatomia implacabile della popolarissima scrittrice?

In ogni caso la periodicità della rubrica tenuta su cartaceo dalla sua penna non è affatto paragonabile alla temporalità che scandisce la vita dei lit-blog. Il meccanismo dei commenti, in sé potenzialmente assai virtuoso, se non altro perché ridimensiona l’enorme potere di “indirizzo” culturale concentrato nelle mani di pochi critici, o addirittura di una sola curatrice di rubrica, è sfibrato dalla velocità con cui ci si trova a scriverli. In una recente discussione nel suo blog, Marotta ha deprecato, giustamente, il “mi piace / non mi piace” che da anni imperversa nei thread dei commentatori. I giudizi del resto sono in stretta dipendenza dal tempo con cui li si formula, li si sparacchia o li si soppesa. Che è, in fondo, la differenza fra le battute che ci si scambia all’uscita dal cinema sul film appena visto, o la discussione che può nascere se dopo il film ci si trova a pane vino e salame e se ne parla per un paio di orette, togliendole al sonno. Ma anche la velocità stessa di fruizione delle poesie postate su un blog e di quelle stampate su pagina fa la differenza. Né mi sono ancora affacciato sui campi poetici che fioriscono nei social network, da Facebook a Twitter, e tremo alla sola idea che il decremento degli accessi ai lit-blog sia determinato da un travaso  di navigatori, quelli seri quanto i presenzialisti. Almeno nei lit-blog non si è costretti ad essere tutti amici, e ci si può confrontare con maggiore onestà, se l’intento è quello.

Dall’intervento di Guglielmin dissento, infatti, in merito al concetto di “mappatura”. Che questa potesse essere una funzione propria dello strumento blog applicato alla circolazione dei saperi e delle pratiche poetiche, al punto da fondare interi e importanti progetti su tale idea, come nel caso eccellente di LiberInVersi, probabilmente era un paradosso, del quale si dovrebbe ora affermare piuttosto: ben venga la fine della “fase di mappatura generalizzata”! Un paradosso analogo a quello che Borges raccontò a proposito dei cartografi dell’imperatore cinese, che avevano disegnato mappe così dettagliate del regno da essere grandi quanto il regno, e quindi illeggibili.

Ancora una volta, il problema è di lettura: si legge senza leggere, l’occhio scorre pagine e pagine ma “raccoglie” pochissimo, stando alla nota etimologia latina di LEGERE. A causa sia del tempo di lettura indotto dal mezzo, sia della smisurata estensione che il mezzo induce. O meglio: il problema non è per il lettore professionista, che se non fosse troppo ripiegato sui meccanismi di costruzione del consenso tipici delle gruppalità accademiche dalle quali è economicamente sostenuto, potrebbe anche abbozzare mappe non approssimative e al tempo stesso fruibili. Il problema è del dilettante. Di colui che si diletta senza però trarre profitto in termini economici dal proprio professarsi. Dilettante come il sottoscritto, magari un po’ privilegiato perché, attore mestierante, ogni tanto gli capita di essere ingaggiato per letture pubbliche di testi poetici, ma tutto qui – e doppiamente privilegiato: quasi sempre gli viene anche affidata la selezione dei testi da interpretare!

Dilettante con orgoglio. E senza rammarico, se la generazione delle varie Szymborska non è riuscita comunque a lasciarci in eredità un mondo in cui sia stata sfondata la soglia del “vissi al cinque per cento”, che il buon Montale aveva dovuto fissarsi nel puzzle dei suoi vari impieghi letterari e non letterari. Senza rammarico perché, anche in virtù delle scarse pressioni economiche e produttive sul merchandising della poesia, un poeta per diletto può davvero dedicarsi al training del contenimento dei propri narcisismi, decidere di godere la poesia anziché consumarla, di non rincorrere a tutti i costi il plauso dei colleghi autori incappati nella stessa rete e dedicarsi in piena autonomia alle proprie letture esplorative e ai propri progetti sperimentali.

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